La luce fa bene, la luce può far male. La luce serve, ma a volte è necessaria tenerla spenta.
La tecnologia dei LED, premiata con il Nobel nel 2014, contiene in sé tutte le risposte alle domande poste dalla rinnovata attenzione del rapporto tra illuminazione artificiale e salute. Una corretta progettazione dell’illuminazione deve tener conto non solo della sostenibilità economica e ambientale della luce artificiale, ma anche della ricaduta sul benessere dell’individuo. Il criterio economico, in sintesi, non può essere l’unico discrimine nella scelta del tipo di prodotto.
Il rapporto diretto tra la quantità e la qualità di luce e la salute degli individui è noto, una consapevolezza che non ci spaventa, ma che ci spinge ad approfondire la ricerca, migliorare i prodotti, perché facciamo luce per migliorare la vita delle persone. I LED possono essere sostenibili, da qualunque punto di vista, proprio per le loro intrinseche caratteristiche, che ci permettono di manipolare la luce in infinite combinazioni.
Secondo la norma e gli standard di sicurezza, peraltro ratificati recentemente (EN 60598-1: 2015), le sorgenti luminose si classificano, dal punto di vista della salute, da RG0 a RG3. Una lampada RG0 può essere guardata, secondo la norma, direttamente per 10.000 secondi senza che ci siano conseguenze dirette. Una sorgente RG3, la cui classificazione di rischio è elevata, potrebbe essere ad esempio, il Sole. La norma stabilisce quale livello di esposizione si intende accettabile ai fini della sicurezza: “Per gli apparecchi che utilizzano sorgenti luminose di gruppo di rischio RG0 illimitato o RG1 illimitato, in accordo con la IEC/TR 62778, o che sono stati valutati come prodotti finiti pronti per l’uso e aventi gruppo di rischio RG0 illimitato o RG1 illimitato, non si applicano le prescrizioni per il rischio retinico da luce blu.”(paragrafo 4.24.2).
Esistono però studi che dimostrano un rapporto tra la luce e il benessere delle persone, in particolare per quanto riguarda l’influenza delle sorgenti luminose nella produzione degli ormoni che regolano alcune nostre funzioni vitali: melatonina e cortisolo. La prima si produce di notte, il secondo di giorno; la prima favorisce il riposo, il secondo l’attività. La luce artificiale influisce sulla produzione di melatonina, rallentandola o impedendola, e questo non ci fa bene. Tutto questo accade perché nella retina è presente un fotoricettore chiamato melanopsina che è responsabile della sincronizzazione dell’orologio biologico. Già nel 2004, con la pubblicazione del Final Report della CIE 158:2004 (citato nella ricerca dell’ENEA “Studio per la valutazione degli effetti della luce sugli esseri umani“), sono stati elencati i principi dell’illuminazione salubre (healthy lighting), punti fermi posti dalla ricerca scientifica che indicano quale strada deve seguire non solo l’esperienza e la ricerca illuminotecnica, ma più in generale la scienza e la ricerca tecnologica.
I cinque principi elencati dal CIE Technical Report 158:2004 sono:
- Lo stile di vita dei Paesi industrializzati comporta una esposizione alla luce giornaliera limitata: essa è potenzialmente così bassa da risultare dannosa per la nostra salute. Manca a oggi un’idea chiara di quale sia la dose giornaliera di luce ottimale.
- L’illuminazione biologica è inestricabilmente connessa al “buio biologico”: il mantenimento dei ritmi circadiani richiede periodi di buio da affiancare a periodi di luce. Raccomandazioni per una dose giornaliera di buio sono importanti quanto quelle della dose di luce giornaliera, ma anch’esse ad oggi non esistono.
- L’illuminazione biologica deve essere ricca nelle regioni dello spettro cui il sistema circadiano sia più sensibile: la zona dello spettro di maggiore interesse sembra essere quella compresa nella regione blu-verde. Un approfondimento delle conoscenze permetterebbe di trasferire informazioni per la progettazione e realizzazione di ambienti e sorgenti orientati a massimizzare i loro effetti per la salute, contenendo così i problemi connessi con l’efficienza energetica.
- Un aspetto fondamentale nella determinazione dell’esposizione giornaliera alla luce è la quantità di luce ricevuta all’occhio, sia direttamente dalla sorgente luminosa, sia indirettamente dalle superfici al contorno: l’illuminazione biologica dovrebbe essere pensata sulla base della luce che arriva all’occhio, piuttosto che di quella sul piano di lavoro.
- L’ora di esposizione alla luce influenza gli effetti dell’esposizione: la sensibilità del sistema circadiano all’esposizione luminosa varia in modo significativo durante le 24 ore; ad oggi, per le applicazioni pratiche non si conosce né il periodo di esposizione più adatto, né i tempi di esposizione.
La sostenibilità umana e ambientale devono guidare i ricercatori ma anche e soprattutto coloro che hanno la responsabilità di compiere scelte che ricadono sulla pelle dei milioni di individui illuminati quotidianamente da sorgenti di luce artificiale. Non solo per strada, in piazza, in galleria, ma anche nelle nostre case. È necessaria una maggiore consapevolezza del rapporto tra illuminazione e salute e su questa sfida Niteko non si tira indietro.
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